lunedì 23 febbraio 2015

La luce che sorge ogni mattina.. guida all'ascolto de "il barbiere di Siviglia"


LA LUCE CHE SORGE OGNI MATTINA
Breve introduzione all’opera “Il barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini,
primo allestimento nel Cartellone della 46° Stagione Lirica Tradizionale
del Teatro Politeama Greco di Lecce.

di Fernando Greco


“Il barbiere di Siviglia” rappresenta il capolavoro assoluto di un compositore “più avvezzo alla commedia che alla tragedia”, come lo stesso Rossini amava definirsi, e conserva intatta la sua freschezza a quasi due secoli dalla sua creazione. Per dirla con Ildebrando Pizzetti, “… è come la luce che sorge ogni mattina, e che non è oggi quella di ieri, ma non è un’altra: ogni volta quest’opera ci riempie il cuore di letizia e di gioia”. Dal tessuto musicale all’evolversi delle situazioni, tutto nell’opera si incastona come in un perfetto meccanismo a orologeria che scandisce il ritmo di una comicità sempre incalzante, senza attimi di cedimento o di stagnazione.

UNA PIèCE RIVOLUZIONARIA
Ad appena ventitre anni, età in cui si accinge alla stesura del suo “Barbiere”, Gioachino Rossini (1792 – 1868) è già da qualche tempo un compositore di fama nazionale. Nel 1812 ha debuttato alla Scala di Milano con il dramma buffo “La pietra del paragone”, il cui clamoroso successo ha permesso al giovane compositore di essere esonerato dal servizio militare, mentre il 1813 ha segnato il trionfo del “Tancredi” al teatro La Fenice di Venezia. Dopo la strepitosa accoglienza dell’opera “Elisabetta regina d’Inghilterra” da parte dell’esigente pubblico napoletano (protagonista la divina Isabella Colbran), il Pesarese si trasferisce a Roma dove nel dicembre 1815 l’opera “Torvaldo e Dorliska” riscuote un tiepido successo. L’opportunità del riscatto sembra presentarsi quando il duca Francesco Sforza Cesarini, ovvero il più celebre impresario teatrale della Città Eterna, commissiona all’autore un’opera lirica per la nuova Stagione di Carnevale del teatro Argentina: nonostante manchino solo due mesi al debutto, Rossini accetta senza riserve e si tuffa nel lavoro con febbrile entusiasmo, scegliendo personalmente il soggetto della nuova partitura. Si tratta della celebre e rivoluzionaria pièce teatrale di Beaumarchais dal titolo “La Précaution Inutile ou Le Barbier de Séville” (antecedente dal punto di vista narrativo rispetto a “Le mariage de Figaro” da cui Mozart aveva tratto l’omonimo melodramma), già messa in musica almeno tre volte nella seconda metà del ‘700, periodo di massimo splendore dell’Opera Buffa di scuola napoletana, di cui il tarantino Giovanni Paisiello (1740 – 1816) rappresenta l’esponente di maggior spicco.

IL FIASCO CLAMOROSO
“Il Barbiere di Siviglia” composto da Paisiello nel 1782 alla corte dell’imperatrice Caterina II di Russia continuava a mietere entusiasti consensi in tutta Europa quando “Il Barbiere” rossiniano debuttò a Roma il 20 febbraio 1816. Né la partecipazione del più famoso basso buffo in circolazione, ovvero Luigi Zamboni nel ruolo di Figaro, né quella del tenore Manuel Garcia (padre del mitico soprano Maria Malibran), sivigliano doc, nel ruolo di Almaviva, furono sufficienti a evitare un clamoroso fiasco, innescato e rinfocolato durante lo svolgimento dell’opera, dall’ostilità dei numerosi sostenitori di Paisiello offesi dal fatto che un giovane come Rossini osasse confrontarsi con un mostro sacro di tale portata. Non servì a nulla nemmeno la modifica del titolo, che da “Il Barbiere di Siviglia” era stato cambiato a bella posta in “Almaviva, o sia L’inutile precauzione”. 

“IO MI ERO DISPOSTA A TUTTO”
Il mezzosoprano Geltrude Righetti - Giorgi, protagonista della prima nel ruolo di Rosina nonché coetanea e fervida ammiratrice di Rossini, redasse una preziosa cronaca di quell’infelice serata: “ […] Il
tenore Garcia, dopo aver accordata la chitarra sulla scena, locchè eccitò le risa degli indiscreti, cantò con poco spirito le sue cavatine, che vennero accolte con disprezzo. Io mi ero disposta a tutto. Salii trepidante la scala che dovevami portare sul balcone per dire queste due parole: “Segui, o caro, deh segui così!”. Avvezzi i romani a colmarmi di plauso, si aspettavano che io li meritassi con una cavatina piacevole e amorosa. Quando intesero quelle poche parole, proruppero in fischi e schiamazzi. Dopo, accadde ciò che doveva necessariamente accadere: la cavatina di Figaro sebbene cantata maestrevolmente da Zamboni, e il bellissimo duetto fra Figaro e Almaviva, cantato pure da Zamboni e da Garcia, non furono neppure ascoltati. Finalmente io comparvi sulla scena, non più alla finestra, ripresi coraggio e come io cantassi la cavatina della “Vipera” lo dicano i romani stessi e lo dirà Rossini. Essi mi onorarono con tre consecutivi plausi generali, e Rossini alzossi pure una volta per ringraziarli. Egli che stimava moltissimo la mia voce, a me si volse dal cembalo e mi disse scherzando: “Ah natura!”. “Ringraziala – gli risposi io sorridendo – che senza il suo favore, a questo punto tu non ti levavi dal seggio!”. Si credette allora risorta l’opera; ma non fu così. Si cantò fra me e Zamboni il bel duetto di Rosina e di Figaro, e l’invidia fatta più rabbiosa sviluppò tutte le sue arti. Fischiate da ogni parte. […] Non si possono descrivere le contumelie cui andò soggetto Rossini, che se ne stava impavido al suo cembalo e pareva dicesse: “Perdona, o Apollo, a questi signori che non sanno ciò che facciano”. Eseguito l’atto primo, Rossini avvisò di far plauso con le mani, non alla sua opera, come fu creduto comunemente, ma agli attori, che, a vero dire, avevano procurato di fare il loro dovere. Molti se ne offesero. Ciò basti a dare un’idea del successo dell’atto secondo. Rossini si partì dal teatro come se vi fosse stato qualche spettatore indifferente. Piena l’anima di questa vicenda, mi portai alla sua casa per confortarlo: ma egli non aveva bisogno delle mie consolazioni, dormivasi tranquillamente […]”.
Già durante le successive repliche del “Barbiere”, i romani avrebbero compreso e apprezzato le grandi innovazioni stilistiche apportate da Rossini alle convenzioni dell’Opera Buffa, quella geniale ventata di freschezza che il pubblico di tutto il mondo avrebbe amato viepiù lungo il corso dei secoli successivi decretando l’indiscusso predominio del capolavoro rossiniano rispetto al pur illustre precedente paisielliano.

IL MODERNO SELF-MADE MAN
In accordo con Alberto Zedda, massimo esperto di filologia rossiniana, si può affermare che il personaggio di Figaro recuperi dalla penna di Rossini l’originario piglio illuminista e rivoluzionario del testo di Beaumarchais (1775): l’intraprendente barbiere rappresenta di fatto il moderno self-made man, il borghese che “trova occasioni per maturare e realizzare progetti ambiziosi” grazie alla sua intelligenza e alla sua cultura. Cultura sì, perché Beaumarchais ci fa sapere che Figaro ha sfortunati trascorsi di letterato e commediografo (si comprende così, nel primo recitativo tra Almaviva e Figaro, la battuta di quest’ultimo: “La miseria, signore!”). Sempre secondo Zedda “L’intraprendente giovanotto scorda presto la frustrazione e si afferma protagonista: mediatore di sponsali, consolatore di fanciulle e vedovelle, barbiere, parrucchier, chirurgo, botanico, spezial, veterinario … Nella celebre cavatina di sortita (un uragano di facelle ritmiche e vocali che deve aver sconvolto lo spettatore della prima abituato alla grazia sentimentale di Paisiello), Figaro esalta l’ingegnosità e lo spirito d’iniziativa che l’hanno elevato a una posizione sociale sconosciuta alla sua classe”, posizione che gli permette di essere rispettoso, ma mai servile nei confronti dei nobili. Il contrasto tra vecchio e nuovo si appalesa nel confronto con il personaggio di Don Basilio, ovvero lo stereotipo dell’intrigante di vecchio stile, quasi una maschera della Commedia dell’Arte, a cui Rossini riserva la celeberrima aria della Calunnia destinandogli non a caso la “vetusta” corda del basso buffo, mentre per Figaro crea la “nuovissima” corda del baritono brillante, timbro che da ora in poi caratterizzerà la nuova drammaturgia musicale. Il nucleo squisitamente comico della vicenda risiede nel personaggio del Dottor Bartolo, vecchio pedante, “avaro e brontolone” davanti al quale tutti fanno buon viso e cattivo gioco, compresi i suoi servi, e in fondo questo è il motivo per cui tutti provano per lui anche un senso di tenerezza, se non addirittura un frustrato sentimento amoroso, come lascia intendere la cameriera Berta nella deliziosa aria di sorbetto “Il vecchiotto cerca moglie”. Alla fine, egli sarà costretto a cedere il passo ai giovani soggiacendo di buon grado all’evidenza di essere stato gabbato (“Insomma io ho tutti i torti!”). Mutatis mutandis, si tratta della stessa morale che Donizetti, aggiungendovi un sentimento di nostalgia tutto romantico, avrebbe espresso trent’anni dopo nel “Don Pasquale”.

IL PRAGMATISMO DI ROSINA
Con il personaggio di Rosina prosegue la scia di quelle donne al contempo tenere e volitive, succubi ma dal carattere forte e determinato, protagoniste del genere giocoso fin dai suoi esordi, a partire da Serpina, ne “La Serva Padrona” di Pergolesi (1733), per giungere a Susanna ne “Le nozze di Figaro” di Mozart (1786); eppure, anche nei riguardi di Rosina il Pesarese crea un personaggio più moderno. Ci soccorre ancora una volta l’illuminante pensiero di Alberto Zedda: “Rosina è lontana dalla manierata svenevolezza di tante innamorate dell’opera buffa e non sorprende che la sincerità di sentimenti e atteggiamenti lontani dal conformismo convincano il Conte Almaviva a trasformare l’ennesima avventura in un vero incontro d’amore”. In altre parole, la furba ragazza esibisce un pragmatismo del tutto nuovo rispetto alle sdolcinatezze delle sue antenate: davanti all’anonima serenata ella mette subito le mani avanti, chiedendo per prima cosa al corteggiatore di riferirle le sue generalità e le sue intenzioni. Per questo motivo, caso unico nella storia dell’opera, il tenore inizia cantando ben due romanze consecutivamente (la galante serenata “Ecco ridente in cielo” e la più personalizzata “Se il mio nome saper voi bramate”) e finirà, lui Grande di Spagna, con lo sposare una borghese, altro fatto decisamente rivoluzionario per i costumi dell’epoca. Né va dimenticato che in origine Almaviva è il title-role dell’opera, e perciò Rossini scrive per questo personaggio un magnifico rondò finale, “Cessa di più resistere”, massimamente virtuosistico e mai scomparso dalla partitura seppur evitato spesso e volentieri. Nell’ultimo ventennio una prassi esecutiva più rigorosa ha favorito la ricomparsa di questa pagina che l’autore, in occasione della successiva “Cenerentola” (1817), trascrisse per la corda contraltile della stessa Geltrude Righetti - Giorgi che era stata la Rosina del debutto.

AL CALAR DEL SIPARIO
Il lieto fine dell’opera viene ottenuto facendo ricorso alla scena dell’agnizione o della “sbottonatura”, secondo l’antico gergo teatrale: creduto un impostore, Almaviva si toglie il mantello per rivelare a Rosina la sua vera identità che è quella di un nobile, un Grande di Spagna. Ancora una volta l’autore si serve di cristallizzate convenzioni per farle implodere attraverso profondi cambiamenti di stile che di fatto determinano la fine della grande stagione dell’Opera Buffa, una fine che però Rossini sceglie di celebrare con i fuochi d’artificio. Figaro, spegnendo la lanterna al termine del “Barbiere”, di fatto la spegne sugli ultimi bagliori di un Settecento ormai definitivamente concluso. Per dirla con Bruno Cagli, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, “Alla fine dell’intrigo, Figaro se la caverà con un generico auspicio: - Di sì felice innesto serbiam memoria eterna! - Ma subito aggiungerà: - Io smorzo la lanterna, qui più non ho che far! –. Cosicché, a rigor di logica scenica e teatrale, gli altri dovrebbero restare al buio per cantare il loro – Amore e fede eterna - . E non è una logica che poteva essere casuale sotto la penna di un attardato e deluso figlio dell’Illuminismo come in cuor suo era il Pesarese. Il sipario in realtà calava non sull’eternità dell’amore e della fede, come suggerivano le augurali parole, ma su tutto un mondo di cui l’opera buffa era stata interprete e che non avrebbe mai più potuto trovare quella felicità e quella concordia che per l’ultima volta, pur con la piena consapevolezza delle ombre che si addensavano, il capolavoro di Rossini aveva inverato”.



Sulle note della tradizione... l'intervista al M° Carlo Antonio De Lucia


Si aprirà il 27 febbraio alle ore 20:45 il pesante e sofferto sipario della 46a Stagione Lirica leccese presso il  Teatro di Tradizione Politeama Greco. Una scommessa vinta grazie all’impegno di coloro che hanno voluto a tutti i costi mantenere viva nella bella città barocca la tradizione del BEL CANTO.  
Un impegno non indifferente che vede in prima linea il Presidente della Provincia Antonio Gabellone, il Sindaco Paolo Perrone, la consigliera provinciale Simona Manca, i proprietari del teatro Politeama Greco rappresentati nella conferenza stampa del 31 gennaio al foyer del teatro Sonia Greco e dal neo Direttore artistico Carlo Antonio De Lucia.  
Il cartellone messo a punto proprio dal direttore artistico Carlo Antonio De Lucia prevede tre opere di alto richiamo popolare come Il Barbiere di Siviglia, Nabucco e Madama Butterly consentendo ai palati più disparati di gustare l’opera lirica dal 1816 (data della prima rappresentazione del Barbiere di Rossini) al 1904 (prima rappresentazione di Madama Butterfly) con gli acclamatissimi Verdi e Puccini.

Il cartellone della 46a stagione lirica leccese prevede:
27 febbraio, 1 marzo IL BARBIERE DI SIVIGLIA opera in 2 atti, libretto di Cesare Sterbini, musica di Gioacchino Rossini, Regia Bruno Praticò, M° direttore e concertatore Alberto Veronesi
20,21,22 marzo NABUCCO opera in 4 atti, libretto Temistocle Solera, musica Giuseppe Verdi, Regia Carlo Antonio De Lucia, M° direttore e concertatore Francesco Ledda
25, 26 aprile MADAMA BUTTERFLY opera in 3 atti, libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, musica di Giacomo Puccini, regia di Hiroki Ihara, M° direttore e concertatore Daniele Agiman

Ospite di Radio Classica Pugliese di oggi è il M° Carlo Antonio De Lucia: laureato in giurisprudenza a Milano, Docente internazionale di canto lirico, Direttore Artistico di importanti Festival italiani, Direttore di produzione dal 2011 al 2014 della stagione lirica di Lecce, Regista d’opera di oltre 20 titoli, Produttore d’opera per importanti Teatri nazionali ed internazionali, Produttore per 4 anni di stagioni di balletto classico e cantante lirico (tenore).
Un saluto al graditissimo ospite, il M° Carlo Antonio De Lucia direttore artistico della 46a edizione della stagione lirica leccese.

  • Molti leccesi non speravano più in questa felice sorpresa ovvero quella di rivedere l’opera lirica a Lecce; difatti a causa di varie vicissitudini politico-ammistrative era sulla bocca di tutti una semplice ma profonda e triste esclamazione “peccato!” che racchiudeva per molti melomani ma anche semplicemente per molti appassionati del mondo della musica classica la triste constatazione di un circuito classico-operistico ormai chiuso: dall’orchestra  Fondazione ICO Tito Schipa alla Stagione lirica.... e invece .. invece ce l’avete fatta.... come è stato convivere e lottare contro ad un clima così avverso?
RISP. Il salvataggio della Stagione Lirica è stata una priorità mia ma anche di tutte le persone che mi hanno sostenuto, in primis il Presidente Gabellone, la consigliera Manca; tutti noi abbiamo voluto fortissimamente che la stagione non si sperdesse e non si perdesse la titolarità della tradizione perchè il concetto fondamentale che ci ha mosso è intanto che la stagione è un patrimonio della città di Lecce e dei suoi cittadini e nello stesso tempo, simmetricamente Lecce è un patrimonio dell'Italia e l'Italia è del mondo. Perdere la stagione non significava soltanto cancellare un qualche cosa di localistico un avvenimento che reverberava solo in un territorio limitato, ma vista l'importanza della nostra stagione significava eliminare un evento che ha un'importanza mondiale perchè non solo Lecce è la città di Tito Schipa e di Cloe Elmo e tanti altri grandi cantanti, ma una tradizione che aldilà del dopoguerra delle 46 stagioni che abbiamo organizzato, affonda in un passato gloriosissimo. Perdere del tutto questo significava danneggiare l'intera umanità. E' come togliere un piccolo pezzettino di Santa Croce, certo magari in mezzo a tanti fregi non te ne accorgi però in realtà hai sfregiato in maniera irreversibile un capolavoro.
  • Salentino d’origine ma Artista del Mondo, quanto sente radicata la sua terra nel suo lavoro e cosa porta con sè in ogni dove?
RISP. Posso dire di essere soltanto un Apolide in Patria perchè sono napoletano di origine, poi ho compiuto i miei studi a Como, poi Milano. Mia moglie è di Gallipoli, i miei figli sono quindi salentini che sono un miscuglio di tante culture: un italiano tipico diciamo, di puro c'è veramente poco però questo miscuglio però mi ha aiutato perchè mi ha offerto un mix di possibilità a cui attingere, quella necessaria capacità per variare il punto di vista che deve essere proprio di ogni artista e a prescindere da quelle che sono a parte quelle di base, le certezze che possono procurare guai, quindi mi ha dato una grande duttilità e questo mi accompagna sempre insieme all'orgoglio di rappresentare qualce cosa di unico nel mondo che è la nostra tradizione, quello che noi siamo e che dall'estero è invidiatissimo. Ho insegnato molto all'estero e sempre senti su di te l'impegno, il dovere di rappresentare questa continuità, questo patrimonio non sia estinto e che tu lo incarni al meglio secondo le aspettativi di chi ti viene incontro.
  • Cosa si aspetta o si augura da questa stagione lirica?
RISP. Io ho una formazione da produttore, quindi è una formazione un po' antica perché per me la cosa più importante è il riscontro del pubblico. Non faccio delle produzioni o delle opere per autogratificarmi, le faccio per gratificare gli altri, per renderli felice e fare in modo che prosegua quella che è un nostro grande patrimonio. Il teatro d'opera italiano è un teatro d'impresa, è un teatro che nasce per fare cassetta, quindi nasce per trovare il consenso del pubblico; un pubblico così intelligente che è riuscito nel tempo a fare una scrematura artistica, capire cosa valesse la pena far sopravvivere nei secoli e cosa no. La mia prima preoccupazione dopo il salvataggio della stagione è quella che il nostro pubblico sia felice, che partecipi numeroso, e questo stà già accadendo perchè abbiamo superato gli 800 abbonati è questo è un dato più unico che raro, è un segnale nei nostri confronti che il lavoro che è stato fatto è un lavoro positivo a prescindere. Sarebbe però sbagliato vedere quello che è successo come una sopravvivenza: questa è una ripartenza, stiamo ripartendo più forti di prima, con maggiore volontà, con grande determinazione, supportati da tutte quelle che sono le componenti della stagione lirica perché la stagione lirica è fatta da tante persone, oltre 200 persone che collaborano in maniera simmetrica e contigua e tutte hanno aderito anche, e questo va detto e ribadito con forza, al piano di grandi tagli, di grandi sacrifici economici che è stato posto. L'amore per la stagione è stato manifestato anche in questo modo
  • L'atteggiamento del pubblico in questa situazione, invece di avere un atteggiamento remissivo è quindi migliorato, ha iniziato a lottare per la propria cultura per la propria arte?
RISP. Assolutamente. Il pubblico comprende che questo ulteriore sacrificio economico che gli viene chiesto, rappresenta la possibilità per i figli, per i nipoti, per chi verrà di avere qualcosa che continua e che non va perso. Noi italiano ogni tanto non ci rendiamo conto di vivere in u palazzo bellissimo che altri invidiano, lo trattiamo come se abitassimo in una catapecchia orrida e questa discrasia di atteggiamento nel luogo in cui viviamo non viene compresa: non si comprende come mai non riusciamo ad amarci quando siamo uno dei popoli più amabili del mondo.
  • Parliamo ora alla programmazione: il Barbiere di Siviglia manca dal cartellone del teatro leccese dal 2002, anno in cui ad interpretare il ruolo di Figaro fu un giovane ma sfavillante Paolo Bordogna. Come mai ha pensato proprio ad un opera buffa per inaugurare la stagione lirica?
RISP. Ho cercato di fare una programmazione molto popolare e poi in questo spirito di ripartenza, volevo ripartire con un'opera buffa, un'opera spumeggiante, piena di vita di un autore che quando la scrisse era giovane anch'egli e anche lui in piena partenza che addiritturà sfido l'altro barbiere molto più famoso e vinse. Mi sembrava l'opera che incarnava al meglio la volontà di esserci, di andare avanti. Ho chiamato degli artisti che sono dei grandi amici oltre che ......CONTINUA

  • Nabucco: l’ultima rappresentazione a Lecce risale alla 41a edizione della stagione lirica (2010) sotto la direzione artistica di Filippo  Zigante con il ruolo di Nabucco affidato a Carmelo Corrado Caruso e quello di Abigaille a Paoletta Marrocu. La “popolarità” di quest’opera, è evidente, ruota sempre più attorno al coro “Va, pensiero”, attraverso il quale gli schiavi ebrei lamentano la perdita della loro patria. Metaforicamente però sotto la disperazione degli Ebrei si celava il sentimento che animava gli Italiani nel 1842 per la “perdita” della loro patria, allora sotto il giogo della dominazione straniera. Un coro che attraverso il carattere “innodico” è sempre riuscito a creare un effetto incantatorio. Non a caso Rossini lo definì “aria per soprani, contralti, tenori e bassi”, cogliendo così il senso emotivo e musicale di quella massa corale che cantava un’unica linea melodica. Cosa rappresenta per Lei NABUCCO? Si cela qualche metafora di riscossa sociale in questo titolo oppure è semplicemente il carattere prettamente popolare che lo ha affascinato e quindi scelto?

  • A chiudere il cerchio della 46a edizione della stagione lirica leccese è la terza G: Gioachino, Giuseppe e ora Giacomo... Giacomo Puccini con la sua Madama Butterfly, un’opera che ha visto i natali nel 1904 al teatro La Scala di Milano.  A quando risale l’ultima rappresentazione della Madama Butterfly al teatro Politeama Greco?

  • Sappiamo che sarà una produzione proveniente dall’estero, ci può dire qualcosa in merito?

  • Sono stati pubblicati i nomi del cast del Barbiere di Siviglia, ci può dare qualche anticipazione, se è concessa, per il cast delle prossime due opere in programma?

  • Ci sarà anche una stagione lirica estiva?