IL SEMPITERNO FASCINO DELLA GIOVINEZZA
Breve introduzione
all’opera “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti
di Fernando Greco
A quasi due secoli dalla sua creazione, “L'elisir d'amore”
mantiene intatta un'innata freschezza. Se il canovaccio dell'opera rispecchia
apparentemente i canoni dell'opera buffa settecentesca, compreso un palese
riferimento alle maschere della Commedia dell'Arte, il lirismo infuso dal
tessuto musicale è già Romanticismo vissuto con tutta l'ingenuità e la forza
della prima “cotta” adolescenziale (o “scuffia” che dir si voglia). Per tali
motivi, l'Elisir rimane per eccellenza l'opera della giovinezza, contrapposta
al “Don Pasquale”, l'altro capolavoro buffo di Gaetano Donizetti (1797 – 1848),
che invece rappresenta l'autoironica constatazione del decadimento.
CAPOLAVORO PER CASO
Come molti capolavori, “L'Elisir d'amore” sarebbe stato
creato in fretta e per caso, se si dà credito alla celebrativa biografia di
Felice Romani, librettista dell'opera, scritta da sua moglie Emilia Branca. L'impresario
Alessandro Lanari (soprannominato all'epoca il “Napoleone degli impresari”) si
era trovato nell'emergenza di avere entro due settimane un nuovo titolo per il
cartellone del Teatro alla Canobbiana a causa dell'improvvisa defezione di un
ignoto compositore; pertanto egli propose a Donizetti quest'insolito tour de
force. Come dire di no a quello che era il teatro milanese più importante dopo
il Teatro alla Scala? E soprattutto, come dire di no al celebre impresario dopo
il mezzo fiasco ottenuto alla Scala qualche mese prima con l'opera “Ugo, conte
di Parigi”? Fu così che Donizetti propose la titanica impresa a Felice Romani: “Io mi sono obbligato a mettere in musica un
poema entro quattordici giorni. Concedo a te una settimana per
apparecchiarmelo; vediamo chi ha più coraggio di noi due!”
UNA LACRIMA FURTIVA … E OCCASIONALE
In accordo con il musicista, Romani tradusse in italiano il
libretto scritto da Eugène Scribe per l'opera
“Le philtre” di Daniel Auber
allestita all'Opéra-Comique di Parigi nel 1831, aggiungendo di suo soltanto il
quartetto “Adina credimi” e la splendida aria di Adina “Prendi, per me sei
libero”. Secondo il racconto della Branca “...
Tutto procedette rapidamente e pienamente d'accordo fra Poeta e Maestro, fino
alla scena ottava dell'atto secondo; qui il Donizetti volle introdurre una
romanza per tenore, a fine di sfruttare una musica da camera, che conservava
nel portafogli, della quale era innamorato […] Romani in sulle prime ricusò
dicendo: - Credilo, una romanza in quel posto raffredda la situazione! Che
c'entra quel semplicione villano, che viene lì a fare una piagnucolata
patetica, quando tutto deve essere festività e gaiezza? – ”
Il tempo avrebbe dato ragione al compositore: la romanza
osteggiata da Romani sarebbe diventata il brano più celebre dell'opera, quella
“Furtiva lagrima” che tanta fortuna avrebbe portato a nomi del calibro di
Schipa o di Pavarotti.
UN SUCCESSO INSPERATO
La sera della prima, il 2 maggio 1832, il successo giunse
talmente strabiliante e inatteso al punto che “il Napoleone” si affrettò a
programmare ben trentadue repliche, che videro tutte il plauso del pubblico e
della critica, persino quella solitamente più maldisposta nei confronti di
Donizetti, tra cui citiamo Francesco Pezzi, che sulla “Gazzetta Privilegiata”
si profuse in un largo encomio: “... Lo
stile musicale di questo spartito è vivo, brillante... Una stromentazione che
si scorge lavoro di gran maestro accompagna un canto or vivo or brillante or
passionato...” Il Bergamasco però sarebbe rimasto per tutta la vita
ipercritico nei confronti del suo “Elisir” e francamente perplesso dinanzi a
tanta popolarità: dopo aver letto la recensione del Pezzi, egli si affrettò a
scrivere al suo maestro Simone Mayr le seguenti parole: “La Gazzetta dice troppo bene dell'Elisir, troppo, credete a me...
troppo!” Il successo della prima avrebbe ricevuto una definitiva conferma
tre anni dopo, al Teatro alla Scala, grazie anche ad un cast di prim'ordine che
includeva la celeberrima Maria Malibran.
IL NUOVO LIRISMO
Dopo le molteplici farse scritte per i palcoscenici
napoletani, di certo Donizetti non era nuovo al genere buffo, che in Elisir
egli affronta mostrando di conoscere perfettamente gli stereotipi della
Commedia dell'Arte. E' facile riconoscere nel personaggio di Belcore l'epigono
del “Miles Gloriosus” di Plauto, quel militare goffo nella sua spacconeria che
nel tempo aveva assunto il nome di Capitan Fracassa o Capitan Spaventa.
Altrettanto agevole è individuare nella figura di Dulcamara i tratti tipici del
Dottore così come viene rappresentato nella Commedia dell'Arte, ovvero
l'imbonitore saccente e ciarlatano, che peraltro compare in scena sillabando
alla maniera rossiniana. Tuttavia la vera novità dell'Elisir consiste in
un'atmosfera di patetico lirismo (sempre a lieto fine) che fa sì che
quest'opera si discosti decisamente dalla tradizione buffa settecentesca e si
accosti a quel genere semiserio che avrebbe caratterizzato la transizione tra
Settecento e Ottocento (si pensi a titoli come “La Cecchina” di Piccinni o “La
gazza ladra” di Rossini), e ciò è evidente soprattutto nel personaggio tenorile
di Nemorino. L'Elisir è spesso ricordato come “l'opera della Furtiva Lagrima”,
non solo per la struggente bellezza di questa pagina, ma anche perchè il
personaggio di Nemorino ci commuove e ci seduce fin dall'inizio dell'opera per
la sua fresca ingenuità e il suo giovanile ardore. Nella sua dabbenaggine (non
per niente si autodefinisce un “idiota”) egli è un puro di cuore, e troverà nel
vino spacciatogli per farmaco miracoloso (il “magico liquore”) il coraggio per
credere in sé stesso, scoprendo una sopraggiunta maturità. Anche l’amata Adina,
che compare in scena come una donna sicura di sé, civettuola e poco avvezza a
sentimentalismi, imparerà da Nemorino il valore dell’amore autentico e saprà
trovare nel suo canto accenti accorati di sublime bellezza (è il momento
dell’aria “Prendi, per me sei libero”). In conclusione, per dirla con lo
studioso Oreste Bossini, “L’Elisir
d’Amore entra nel cuore prima che nel cervello, ed io annovero quest’opera tra
le cose per le quali val la pena di vivere”.
TRAMA
Atto Primo.
Scena Prima – In campagna, in una calda giornata estiva, un
gruppo di mietitori fa una pausa all’ombra di un albero mentre la fittavola
Adina legge ad alta voce un libro che parla di come Tristano fosse riuscito a
conquistare il cuore della regina Isotta ricorrendo a un farmaco miracoloso. In
disparte Nemorino, innamorato di Adina, osserva la scena lamentando la propria
inferiorità intellettuale rispetto alla ragazza. La lettura viene interrotta
dall’arrivo di alcuni soldati comandati dal sergente Belcore che, tronfio di
una goffa virilità, chiede ad Adina ospitalità per la truppa offrendole dei
fiori, sicuro che nessuna donna possa resistere al suo fascino. La giovane
sembra stare al gioco, suscitando la gelosia di Nemorino che, rimasto solo con
lei, rinnova le proprie profferte amorose, puntualmente respinte. Adina ribatte
di essere per natura incostante e gli consiglia di correre piuttosto in città ad
assistere lo zio malato nella speranza di un’eredità futura.
Scena Seconda – Nella piazza del villaggio giunge il dottor
Dulcamara che, presentandosi come un medico di fama internazionale, propone ai
paesani l’acquisto del suo “specifico”, ovvero un elisir in grado di guarire
qualsiasi malattia. Diradatasi la folla, Nemorino si avvicina a Dulcamara per
chiedergli se possieda il miracoloso elisir d’amore della regina Isotta.
L’astuto imbonitore, intuita la dabbenaggine del giovane, gli vende una
bottiglia di Bordeaux spacciandola per il miracoloso elisir che,
ventiquattr’ore dopo essere stato bevuto, avrebbe procurato al giovane tutte le
ragazze che avesse desiderato. In realtà le ventiquattr’ore sarebbero servite a
Dulcamara per svignarsela. Rimasto solo, Nemorino comincia a bere e, un sorso
dopo l’altro, si ubriaca. Al giungere di Adina egli fa l’indifferente, sicuro
che il giorno dopo la donna gli sarebbe caduta tra le braccia. Ella,
indispettita dal comportamento di Nemorino, si propone a Belcore come sua
sposa. Frattanto viene consegnato al sergente un dispaccio che ordina alle
truppe di cambiar sede seduta stante e perciò Adina accetta di sposarsi in
quello stesso giorno. Davanti a questa novità, l’euforia di Nemorino si
trasforma in disperazione ed egli supplica la ragazza di rinviare le nozze di
almeno un giorno, poiché spera che nel frattempo si manifesti l’effetto dell’elisir.
Adina è irremovibile ed invita tutti i presenti a casa sua per il banchetto di
nozze.
Atto Secondo.
Scena Prima – E’ in atto la festa nuziale: tutti mangiano, brindano
e cantano in onore degli sposi. Al sopraggiungere del notaio per la stesura del
contratto, Adina si mostra contrariata poiché, per poter gustare appieno il
sapore della vendetta, vorrebbe che Nemorino fosse presente alle nozze. Tutti
si allontanano al seguito del notaio, tranne Dulcamara che invece rimane a
tavola per strafogarsi in piena libertà. Giunge Nemorino in preda alla massima
afflizione e chiede a Dulcamara se esista un modo per anticipare l’effetto
dell’elisir d’amore. Il falso dottore consiglia al giovane di berne un’altra
bottiglia, ma Nemorino non ha più il becco di un quattrino per acquistarla.
Torna Belcore, meravigliato del fatto che Adina abbia differito le nozze di
qualche ora, e propone al giovane di arruolarsi nella sua truppa, non soltanto
per poter guadagnare subito la bella somma di venti scudi, ma anche per godersi
per tutta la vita gli innumerevoli vantaggi della vita militare. Detto, fatto!
Nemorino firma con una croce il contratto di arruolamento, riscuote il denaro e
poi corre felice da Dulcamara per l’acquisto del “mirabile liquore”.
Scena Seconda – Alcune contadine si trasmettono l’una
l’altra una notizia sensazionale che ha cominciato a diffondersi in paese: lo
zio di Nemorino sarebbe morto lasciando il nipote unico erede di un’immensa
fortuna. Al giungere di Nemorino, ancora ignaro della sua eredità, tutte si
profondono in esagerati corteggiamenti poiché ognuna spera di diventarne la
moglie; il giovane, lusingato da tante attenzioni, crede che ciò sia frutto
dell’elisir d’amore, di cui si è già scolato la seconda bottiglia. La scena non
sfugge agli sguardi di Dulcamara e di Adina: finalmente la ragazza si scopre
triste e gelosa, e Dulcamara le chiarisce la faccenda, quasi quasi convinto
anch’egli che tutto il merito sia da ascrivere al magico elisir. Ma Adina,
appena informata su come il giovane, pur di colpire il cuore di una donna
crudele, si fosse procurato l’elisir d’amore della regina Isotta a costo di
arruolarsi nell’esercito e perdere la libertà, comprende tutto e, sinceramente
pentita, si propone di recuperare l’amore di Nemorino. D’altro canto quest’ultimo,
comparendo da solo in scena, si mostra commosso e speranzoso poiché gli è sembrato
che dagli occhi di Adina, durante il corteggiamento da parte delle donne,
spuntasse una “furtiva” lacrima, forse segno di un nascente affetto.
Sopraggiunge Adina la quale restituisce a Nemorino il contratto di arruolamento
che ella ha appena riscattato da Belcore, ma il giovane, poiché la ragazza non
ha apparentemente null’altro da dirgli, le grida che preferisce morire soldato
piuttosto che non essere amato. Adina allora si getta tra le sue braccia,
ammettendo finalmente il proprio amore, mentre a Belcore non resta che
rassegnarsi e partire, sicuro di trovare presto un’altra donna sensibile al
fascino dell’uniforme. Giunge anche la carrozza di Dulcamara che, dopo aver
venduto qualche altra bottiglia di farmaco miracoloso, saluta tutti e lascia il
villaggio, nella soddisfazione generale.
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