… ED EI CON VERE LACRIME
SCRISSE!
Breve introduzione all’opera “Pagliacci” di Ruggero
Leoncavallo, in occasione dell’allestimento previsto l’11 gennaio 2016
nell’ambito della 2° Stagione Lirica Città di Maglie.
di Fernando Greco
Alle
soglie del Novecento, quello squarcio di
vita aperto dalla “Cavalleria rusticana” di Mascagni nel cuore del
meridione d’Italia acquisisce con “Pagliacci” una forma più complessa e più
matura, sorretta da una formidabile inventiva melodica, il che fa dell’opera di
Ruggero Leoncavallo (1857 – 1919) il capolavoro del Verismo musicale. Per dirla
con lo studioso Virgilio Bernardoni “Pagliacci
rimane uno dei pochi lavori del genere verista che riesce a comunicarci il
fascino di un’inquietudine drammaturgica”.
DISPERATO
MA RISOLUTO
Ruggero Leoncavallo |
“Dopo il successo della Cavalleria Rusticana di
Mascagni, mi chiusi in casa disperato ma risoluto a tentar l’ultima battaglia e
in cinque mesi scrissi il poema e la musica di Pagliacci”. Con
queste parole, l’autore rievocava in età matura lo spirito con cui, dopo anni
di gavetta trascorsi a comporre canzonette per il café-chantant Eldorado di
Parigi, era giunto a comporre la partitura che gli avrebbe procurato un trionfo
tanto strepitoso quanto inaspettato. Figlio di un insigne magistrato, il
compositore manifestò fin dall’infanzia un duplice talento musicale e
letterario, diplomandosi all’età di sedici anni nel prestigioso Conservatorio
di San Pietro a Majella e conseguendo successivamente la laurea in lettere
nell’università di Bologna sotto la guida di Giosuè Carducci. A Parigi divenne
pianista accompagnatore del celebre baritono Victor Maurel, primo interprete di
Jago nell’”Otello” verdiano e successivamente primo Falstaff, che sostenne
strenuamente il progetto di “Pagliacci” e accettò il ruolo di Tonio a
condizione che venisse modificato il titolo originario dell’opera. Si trattava
de “Il Pagliaccio”, titolo
riferito al solo personaggio tenorile di Canio, che
Maurel, con manie di protagonismo, fece cambiare in “Pagliacci” affinché nel
titolo dell’opera fosse compreso anche il personaggio interpretato da lui. La
prima di “Pagliacci”, diretta dal giovane Arturo Toscanini al teatro Dal Verme
di Milano il 21 maggio 1892, riscosse un successo clamoroso e destinato ad
amplificarsi nelle repliche successive. La pionieristica incisione discografica
dell’aria “Vesti la giubba”, effettuata dal tenore Enrico Caruso nel 1902, è
entrata nel Guinness dei Primati per essere la prima nella storia ad aver
raggiunto il milione di copie vendute.
Victor Maurel |
UN
DELITTO D’ONORE
Montalto Uffugo |
All’indomani
del debutto di “Pagliacci”, Leoncavallo dovette difendersi dall’accusa di
plagio rivoltagli dal letterato Catulle Mendès, secondo il quale la trama
dell’opera ricalcava quella del suo dramma “La femme de tabarin” (1876). Il
musicista riuscì comunque a spuntarla rivelando di essersi ispirato a un suo
ricordo d’infanzia, ossia un delitto d’onore verificatosi a Montalto Uffugo,
paesino della Calabria dove suo padre era pretore. Nel giorno di Ferragosto, un
domestico di casa Leoncavallo aveva accompagnato il piccolo Ruggero ad
assistere a uno spettacolo di piazza, ma all’improvviso, sotto lo sguardo
attonito del fanciullo, era stato aggredito e ucciso dal calzolaio del paese.
Secondo il critico Lorenzo Arruga “...
Leoncavallo barava: quando
venne in mente pochi anni fa di controllare il verbale del processo di
quell’omicidio, la storia era molto diversa, mentre La femme de Tabarin vi rassomiglia parecchio …”
COSI’
E’ (SE VI PARE)
Nel
contesto dell’ambiente letterario e musicale di fine secolo, “Pagliacci” rinforza
e sublima la poetica
Enrico Caruso interpreta Canio |
Esquisitamente verista inaugurata da “Cavalleria rusticana”
oltrepassandola nella misura in cui (forse all’insaputa dello stesso autore)
l’elemento grottesco e metateatrale prefigura nuovi orientamenti drammaturgici
già premonitori dell’arte espressionista e del teatro di Pirandello. Da una
parte quindi, rimaniamo nell’ambito dell’estetica verista più pregnante quando
consideriamo l’ambientazione “rusticana” della vicenda, l’esplosione violenta
del dramma passionale in cui predominano sentimenti primordiali e profondi
quali la gelosia e la vendetta. Dall’altra, “Pagliacci” rappresenta un gioco
delle parti più complesso, affrontando la problematicità del rapporto persona –
personaggio in maniera decisamente pre-pirandelliana. “Par vera questa scena!”: davanti al teatrino ambulante si rimane
smarriti perché si è smarrita l’identità dei protagonisti. Chi si muove sul
palcoscenico? L’uomo o il pagliaccio? Il personaggio o l'interprete? L’unica
risposta possibile è quella che qualche anno dopo avrebbe dato Pirandello,
sospendendo il giudizio in maniera lapidaria: “La verità? Così è (se vi
pare)!”.
IL
MANIFESTO DEL VERISMO
Prima riduzione per canto e pianoforte |
Al
personaggio baritonale di Tonio, così moderno nella sua grottesca deformità, è
affidato il compito di reggere le fila di entrambi i piani narrativi della
vicenda, ovvero il piano teatrale e quello metateatrale. Si parte con un
magistrale prologo, in realtà aggiunto da Leoncavallo per fornire un’aria di
bravura a Victor Maurel, suggestivo momento poetico e musicale che oltre a
esporre i tre motivi musicali fondamentali dell’opera (il famoso tema di “Ridi Pagliaccio!”, quello che
qualificherà la relazione tra Nedda e Silvio e quello che caratterizzerà la
tremenda gelosia di Canio) rappresenta una sorta di manifesto della poetica
verista. Tonio, presentandosi come Prologo in persona, spiega allo spettatore
che sul palcoscenico non vedrà semplici maschere, ma uomini in carne ed ossa
che metteranno in gioco autentici sentimenti umani, poiché per primo l’autore
ha versato calde lacrime nell’intento di “pingere
uno squarcio di vita” (esplicito riferimento alla tranche de vie cara agli scrittori del naturalismo francese). Lo
stesso Tonio, respinto da Nedda, farà scoprire a Canio il tradimento di lei per
poi chiudere l’opera con la cinica frase “La
commedia è finita!” (espressione che nelle versioni successive dell'opera
sarebbe stata pronunciata da Canio). Ma di quale commedia si tratta? Quella
inscenata dai pagliacci o quella della vita stessa degli attori?
LA TRAMA
La vicenda si svolge a Montalto, paesino della Calabria, nel
giorno della festa di Mezzagosto.
Prologo.
Tonio (baritono) si presenta al pubblico a sipario chiuso,
nelle vesti del Prologo. Egli spiega
allo spettatore che tra poco sul palcoscenico si muoveranno non semplici
maschere, ma uomini in carne ed ossa che si ameranno e si odieranno da veri
esseri umani, poiché l’autore prima di loro ha versato calde lacrime
nell’intento di “pingere uno squarcio di
vita”.
Atto Primo.
Nelle prime ore del pomeriggio, squilli di tromba annunciano
l’arrivo nel villaggio di una compagnia di
attori girovaghi. Tutti accorrono
festosamente mentre entra in scena una pittoresca carretta tirata da un asino
che Peppe (tenore), in abito di Arlecchino, conduce a piedi. Ritto sulla carretta
Canio (tenore), in costume di Pagliaccio, invita tutti all’esilarante
spettacolo che avrà luogo quella sera stessa. Sul trabiccolo si trova anche
Nedda (soprano), unica donna del gruppo nonché compagna di Canio. Tonio,
personaggio goffo per il suo aspetto deforme e la sua dabbenaggine, cerca di
aiutare Nedda a scendere dalla carretta, ma riceve un sonoro ceffone da Canio
che, interrompendo l’iniziale ilarità, fa sapere che “il teatro e la vita non son la stessa cosa”: se sulla scena
Pagliaccio coglie in flagrante adulterio la sua sposa, si limita a fare “un comico sermone”, ma se egli
sorprendesse Nedda per davvero, la vicenda andrebbe a finire in maniera ben
diversa. Nedda, in disparte, appare turbata da tale discorso. Le campane
suonano a vespero. I presenti si separano: le donne si avviano verso la chiesa,
gli uomini verso l’osteria. Rimasta sola, Nedda riflette sulle parole di Canio:
per un attimo ella ha pensato che il compagno potesse leggerle negli occhi il
suo inconfessabile segreto. Il sole di ferragosto e i versi degli uccelli la
distolgono dai cattivi pensieri; ella canta una ballatella appresa da sua madre in cui paragona il volo degli
uccelli alla sua sete di libertà. Il canto di lei non manca di attrarre Tonio
che, dopo averle rivolto frasi concupiscenti, cerca di sedurla. La donna lo
respinge a suon di frustate, facendosi beffe della sua rozzezza (“Ti sei svelato omai, Tonio lo scemo! Hai
l’animo siccome il corpo tuo difforme, lurido!”). Tonio retrocede, giurando
vendetta. Nedda riceve la visita di Silvio (baritono), suo amante segreto, al
quale ella rivela l’accaduto. L’uomo le propone di fuggire con lui, troncando
una buona volta la sua relazione con Canio. L’iniziale perplessità di lei
lascia il posto a languide effusioni amorose che vengono intercettate da Tonio
il quale, non visto dai due, corre a chiamare Canio. Nel frattempo i due amanti
si accordano per fuggire insieme quella notte stessa; Canio giunge giusto in
tempo per udire l’ultima frase di lei (“A
stanotte, e per sempre tua sarò!”), ma non riesce a catturare l’ignoto
amante, poiché questi fugge via repentinamente e senza farsi riconoscere.
Furente, Canio chiede invano a Nedda di rivelargli il nome dello sconosciuto.
Frattanto è giunta l’ora di allestire lo spettacolo e perciò Tonio consiglia a
Canio di calmarsi, sperando che l’amante si faccia vivo tra il pubblico durante
la recita e che in qualche modo si tradisca. Canio inizia a truccarsi,
meditando sulla sua intima lacerazione tra l'essere attore buffo e al contempo
un uomo straziato dal dolore (“… Tramuta
in lazzi lo spasmo e il pianto, in una smorfia il singhiozzo e il dolor! Ridi,
Pagliaccio, sul tuo amore infranto, ridi del duol che t’avvelena il cor!”).
libretto dell'opera |
Atto Secondo.
Placido Domingo interpreta Canio |
Il pubblico prende posto nell'improvvisato teatrino all'aperto
in cui lo spettacolo sta per cominciare. Anche Silvio è tra gli spettatori.
Nedda, in costume di Colombina, si aggira tra la gente per raccogliere qualche
moneta. Comincia la commedia, introdotta dalle note di un minuetto. Colombina
(Nedda), approfittando dell'assenza del marito Pagliaccio (Canio), riceve in
casa lo spasimante Arlecchino (Peppe). Anche il servitore Taddeo (Tonio) la
corteggia e le dichiara il suo amore, ma viene scacciato in malo modo e inviato
a sorvegliare l'eventuale ritorno di Pagliaccio. I due amanti iniziano a cenare
scambiandosi sguardi appassionati, ma vengono interrotti dall'entrata di Taddeo
che, trafelato, annuncia l'imprevisto ritorno di Pagliaccio. Arlecchino, prima
di svignarsela, porge a Colombina una pozione ch'ella dovrà far bere a
Pagliaccio per narcotizzarlo, di modo che nottetempo i due possano fuggire
insieme. La donna saluta Arlecchino con le parole: “A stanotte, e per sempre sarò tua!”. Canio, all'udire le stesse
parole che Nedda ha rivolto poc'anzi al suo amante segreto, compare in scena
stravolto. Quello che doveva essere il brillante battibecco tra Pagliaccio e
Colombina diventa un furibondo litigio tra Nedda e Canio, in cui quest'ultimo,
rinfacciandole di averla raccolta dal marciapiede e di averla amata alla follia,
le impone di rivelargli il nome dell'amante. Il pubblico applaude credendo che
si tratti ancora di finzione scenica, mentre Nedda, con malcelata nonchalance,
cerca invano di riprendere le fila della commedia. Tutto è vano: all'estremo
rifiuto della donna, Canio la accoltella ferocemente. Nedda chiede soccorso a
Silvio chiamandolo per nome; l'uomo le corre incontro sicché Canio, individuato
l'avversario, si avventa contro di lui ferendolo a morte. Alcuni dei presenti,
avendo finalmente compreso la reale portata della tragedia, si precipitano
verso l'assassino per disarmarlo, ma egli, in stato confusionale, lascia cadere
il coltello dicendo: “La commedia è
finita!”
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